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Movimento cinematografico sviluppatosi nell'URSS degli anni '20 (post-Rivoluzione d'Ottobre) che rivoluzionò il linguaggio filmico ponendo il montaggio al centro dell'espressione artistica. Rifiutando la narrazione lineare di stampo borghese e teatrale, i cineasti sovietici (come Kulešov, Ėjzenštejn, Vertov, Pudovkin) teorizzarono il cinema come strumento di agitazione politica e costruzione intellettuale.
Il significato non risiede nella singola inquadratura, ma nasce dalla giustapposizione (spesso conflittuale) di due immagini, creando un "terzo senso" nella mente dello spettatore (vedi Effetto Kulešov o Montaggio delle attrazioni). Caratterizzato da sperimentazioni visive audaci (sovrimpressioni, split-screen, angolazioni estreme) e dal concetto di Cine-Occhio (la macchina da presa più perfetta dell'occhio umano), ha gettato le basi della teoria moderna del montaggio.
Teoria e tecnica di montaggio, elaborata principalmente dal cineasta sovietico Vsevolod Pudovkin, che concepisce la creazione della scena non come la registrazione di un evento teatrale (tramite master shot), ma come l'integrazione di singoli frammenti e dettagli.
Secondo questa concezione, ogni inquadratura funziona come un "mattone": il significato della sequenza nasce dal collegamento (linkage) e dalla somma logica di questi pezzi, piuttosto che dal conflitto (come teorizzato invece da Ėjzenštejn). Permette al regista di guidare in modo assoluto l'attenzione dello spettatore, costruendo un tempo e uno spazio filmico che esistono solo grazie all'unione delle diverse inquadrature (vedi geografia creativa).
macchina da presa: apparecchiatura utilizzata per registrare le immagini in un film o in una produzione video. Essa comprende il corpo principale della macchina, l’obiettivo, i meccanismi di registrazione e altri accessori necessari per catturare le immagini.
L'insieme di tutte le scelte stilistiche (composizione, illuminazione, colore, movimenti di macchina) utilizzate in modo coerente per comunicare la storia, le emozioni e i temi di un film. Come un linguaggio parlato ha parole e grammatica, quello visivo usa le immagini per trasmettere significati che vanno oltre il dialogo.
L'unità minima del linguaggio cinematografico. Tecnicamente, è la porzione di spazio (fisico o virtuale) delimitata dai bordi dell'obiettivo della macchina da presa. Nel montaggio, corrisponde a una registrazione continua tra due stacchi (tagli).





