1.3 La rivoluzione sovietica: il montaggio come strumento ideologico

di Francesco Vernice e Barbara De Santis

Mentre in America David W. Griffith perfezionava un montaggio[8] narrativo volto a coinvolgere emotivamente lo spettatore, nella Russia post-rivoluzionaria degli anni Venti nacque una visione opposta e radicale nota come Cinema d’Avanguardia Sovietico[1] o Scuola del Montaggio . Per i cineasti sovietici, il cinema non doveva essere un mezzo di intrattenimento, ma uno strumento politico ed educativo. Il montaggio non serviva più a nascondere i tagli per creare continuità[6], bensì a mostrarli apertamente per stimolare una riflessione critica. Questa idea segnò una frattura profonda tra due concezioni del cinema: una che mirava a far “dimenticare” lo spettatore della macchina da presa[3], e un’altra che voleva ricordarglielo, costringendolo a pensare.

Il primo passo verso questa rivoluzione teorica fu compiuto da Lev Kuleshov, che nel 1921 condusse un esperimento destinato a cambiare la storia del linguaggio visivo[4]. Montò lo stesso primo piano[7] neutro dell’attore Ivan Mozzhukhin accanto a tre immagini diverse: una zuppa, una bambina morta e una donna distesa su un divano. Gli spettatori interpretarono il volto dell’attore, identico in tutte le versioni, come espressione di fame, dolore o desiderio, a seconda dell’immagine che lo accompagnava. Questo fenomeno, noto come Effetto Kuleshov, dimostrò che il significato di un’inquadratura[5] non risiede nella singola immagine, ma nella relazione che essa instaura con quella successiva. In altre parole, il montaggio crea senso: non unisce semplicemente due immagini, ma ne genera una terza, invisibile, nella mente dello spettatore.

A partire da questa scoperta, Vsevolod Pudovkin, allievo di Kuleshov, sviluppò la teoria del montaggio costruttivo[2]. Per lui, ogni inquadratura era come un mattone: un elemento che, unito agli altri, costruiva progressivamente il significato complessivo della scena. Il montaggio, dunque, non distruggeva la continuità, ma la edificava passo dopo passo, permettendo di guidare il pubblico attraverso una catena logica e emotiva. Nel suo film La madre (1926), la trasformazione della protagonista è raccontata non con dialoghi, ma con una serie di immagini simboliche – come il disgelo di un fiume – che rappresentano la rinascita interiore e politica della donna.

Con Kuleshov e Pudovkin, il montaggio divenne un linguaggio del pensiero: non solo uno strumento tecnico o narrativo, ma un mezzo per generare idee, capace di orientare la percezione e costruire un discorso visivo consapevole. Questa visione rivoluzionaria avrebbe influenzato profondamente tutta la storia del cinema successivo.

Glossario
1. Cinema d’Avanguardia Sovietico ( Cinema d’Avanguardia Sovietico )

Movimento cinematografico sviluppatosi nell'URSS degli anni '20 (post-Rivoluzione d'Ottobre) che rivoluzionò il linguaggio filmico ponendo il montaggio al centro dell'espressione artistica. Rifiutando la narrazione lineare di stampo borghese e teatrale, i cineasti sovietici (come Kulešov, Ėjzenštejn, Vertov, Pudovkin) teorizzarono il cinema come strumento di agitazione politica e costruzione intellettuale.
Il significato non risiede nella singola inquadratura, ma nasce dalla giustapposizione (spesso conflittuale) di due immagini, creando un "terzo senso" nella mente dello spettatore (vedi Effetto Kulešov o Montaggio delle attrazioni). Caratterizzato da sperimentazioni visive audaci (sovrimpressioni, split-screen, angolazioni estreme) e dal concetto di Cine-Occhio (la macchina da presa più perfetta dell'occhio umano), ha gettato le basi della teoria moderna del montaggio.

2. montaggio costruttivo.

Teoria e tecnica di montaggio, elaborata principalmente dal cineasta sovietico Vsevolod Pudovkin, che concepisce la creazione della scena non come la registrazione di un evento teatrale (tramite master shot), ma come l'integrazione di singoli frammenti e dettagli.
Secondo questa concezione, ogni inquadratura funziona come un "mattone": il significato della sequenza nasce dal collegamento (linkage) e dalla somma logica di questi pezzi, piuttosto che dal conflitto (come teorizzato invece da Ėjzenštejn). Permette al regista di guidare in modo assoluto l'attenzione dello spettatore, costruendo un tempo e uno spazio filmico che esistono solo grazie all'unione delle diverse inquadrature (vedi geografia creativa).

3. macchina da presa.

macchina da presa: apparecchiatura utilizzata per registrare le immagini in un film o in una produzione video. Essa comprende il corpo principale della macchina, l’obiettivo, i meccanismi di registrazione e altri accessori necessari per catturare le immagini.

4. linguaggio visivo.

L'insieme di tutte le scelte stilistiche (composizione, illuminazione, colore, movimenti di macchina) utilizzate in modo coerente per comunicare la storia, le emozioni e i temi di un film. Come un linguaggio parlato ha parole e grammatica, quello visivo usa le immagini per trasmettere significati che vanno oltre il dialogo.

5. inquadratura.

L'unità minima del linguaggio cinematografico. Tecnicamente, è la porzione di spazio (fisico o virtuale) delimitata dai bordi dell'obiettivo della macchina da presa. Nel montaggio, corrisponde a una registrazione continua tra due stacchi (tagli).

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