In fase di pre-produzione la relazione tra regista e D.O.P. si consolida attraverso un profondo processo di scoperta. Partendo dalla sceneggiatura, i due scompongono la storia per definirne il nucleo emotivo, traducendolo in un linguaggio visivo condiviso, spesso concretizzato in un “look book”. In questa fase un regista può descrivere una scena come “opprimente” e il D.O.P., insieme agli altri reparti, traduce quell’aggettivo in un piano d’azione coordinato, per esempio: un’illuminazione low-key proposta dal D.O.P., una stanza dai soffitti bassi e dai colori scuri suggerita dallo scenografo, o abiti pesanti e costrittivi ideati dal costumista.
La simbiosi più stretta è forse quella con il reparto di scenografia. Ogni scelta dello scenografo ha una conseguenza diretta sulla luce. Una parete dipinta di un rosso saturo non è solo una scelta estetica. Per il D.O.P. è una potenziale fonte di dominante cromatica che “inquina” il tono della pelle dell’attore. Una superficie lucida riflette i proiettori, mentre un materiale poroso assorbe la luce, richiedendo più potenza. Le fonti di luce diegetiche “practical lights”– le lampade, le insegne al neon, i televisori che vediamo in scena – sono il terreno comune dove la collaborazione diventa cruciale. Lo scenografo le sceglie per il design, mentre il D.O.P. le valuta per la loro funzionalità: che tipo di luce emettono? È dimmerabile (variabile)? La loro posizione è strategica per illuminare gli attori o è necessario integrare con fonti esterne? Anche la posizione e la grandezza delle finestre, le principali fonti di luce naturale, sono oggetto di dialogo per ottimizzare le riprese.
Il confronto prosegue con il costumista e il truccatore, in un’analisi che scende fino al dettaglio della grana di un tessuto o della texture di un fondotinta. Il D.O.P. deve conoscere in anticipo i colori e i materiali degli abiti per prevederne la reazione alla luce. Un abito di seta richiede una luce più morbida e diffusa per evitare riflessi speculari (“bruciature“), mentre un maglione di lana grezza può essere esaltato da una luce più radente che ne riveli la texture. Allo stesso modo, il dialogo con il reparto trucco è fondamentale. Un trucco concepito per apparire “naturale” e luminoso potrebbe creare riflessi indesiderati sotto una luce dura. Viceversa, un trucco prostetico o una cicatrice finta necessitano di una luce precisa, spesso laterale, per apparire tridimensionali e credibili. La capacità del D.O.P. sta nel saper usare la luce non solo per illuminare, ma per esaltare, nascondere o trasformare il lavoro di questi reparti. L’inquadratura finale non è mai l’opera di un singolo, ma la sintesi armoniosa di una visione collettiva, orchestrata per servire la storia.