Una volta catturata dal sensore[10], l’immagine grezza è un’enorme mole di dati. Per poterla salvare, è necessario codificarla attraverso un codec[16] (un algoritmo di COmpressione-DECompressione). Questa scelta non è puramente tecnica, ma una decisione strategica che definisce l’intero flusso di lavoro, bilanciando tre fattori in perenne conflitto[11]: qualità dell’immagine, flessibilità in post-produzione[3] e dimensioni dei file.
IL NEGATIVO DIGITALE: FORMATI RAW[17]
Il formato[12] RAW è un tipo di registrazione che conserva tutti i dati grezzi catturati dal sensore della camera, senza applicare compressioni o elaborazioni interne. È considerato il “negativo digitale”. La sua forza risiede nella flessibilità assoluta che offre in post-produzione. Parametri come bilanciamento del bianco[1], esposizione[4] e curva tonale, non sono “impressi” nell’immagine, ma possono essere modificati in modo non distruttivo, offrendo al colorist[13] un controllo creativo totale[18]. Formati proprietari come ARRIRAW, REDCODE (R3D) o Blackmagic RAW (BRAW) sono lo standard per le produzioni di alto livello. Lo svantaggio è logistico: i file sono estremamente pesanti, richiedendo grandi capacità di archiviazione e notevole potenza di calcolo.
IL CAMPIONE DELLA POST-PRODUZIONE: PRORES[14]
Sviluppato da Apple, il codec ProRes è lo standard per la post-produzione professionale. È un formato compresso, ma “visivamente lossless”, che offre un compromesso ideale. Mantiene una profondità di colore[2] e una qualità d’immagine molto elevate (tipicamente a 10 o 12-bit), ma con dimensioni di file significativamente più gestibili rispetto al RAW. La sua compressione intra-frame (o All-I), dove ogni fotogramma è compresso singolarmente, lo rende poco esigente per la CPU[19] (Central Processing Unit: è il componente che ha il compito di decodificare i file video compressi per poterli mostrare in tempo reale[8] sulla timeline[15] del software) in fase di montaggio[9], garantendo una riproduzione fluida. Varianti come ProRes 422 HQ sono perfette come formati di acquisizione di alta qualità, mentre altre versioni sono usate per creare file “proxy[20]” a bassa risoluzione[5] per un montaggio più agile.
IL RE DELLA DISTRIBUZIONE: H.265[21] (HEVC)
Se il RAW è il punto di partenza e il ProRes è il compagno di viaggio, l’H.265 (High Efficiency Video Coding) è la destinazione finale. È un codec di distribuzione, progettato per la massima efficienza di compressione. Utilizzando una complessa compressione inter-frame (Long GOP), che registra solo le differenze tra i fotogrammi, produce file estremamente leggeri, ideali per lo streaming online (Netflix, YouTube) e i supporti Blu-ray 4K. Tuttavia, questa efficienza ha un costo: i file H.265 sono molto pesanti da elaborare in fase di montaggio e la forte compressione degrada le informazioni cromatiche, rendendoli inadatti a un color grading[6] intensivo.
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(white balance) Il processo tecnico che corregge le dominanti cromatiche nell'immagine, "insegnando" alla camera quale colore deve essere percepito come bianco puro. Serve a garantire che i colori appaiano naturali, neutralizzando le diverse temperature colore delle fonti luminose (es. la luce bluastra di un neon o quella arancione di una lampadina).
(bit depth) La quantità di informazioni cromatiche che un file video può memorizzare per ogni singolo pixel. Si misura in bit. Uno standard a 8-bit (tipico del web) può registrare circa 16,7 milioni di colori. Un formato professionale a 10-bit o 12-bit (come il ProRes o il RAW) registra miliardi di sfumature, offrendo transizioni di colore più morbide (meno "banding") e una flessibilità di gran lunga superiore in color grading.
Fase finale della realizzazione di un film, successiva alle riprese (produzione). Comprende tutti i processi necessari per assemblare e finalizzare il materiale girato, inclusi il montaggio video, il sound design, la creazione di effetti visivi (VFX), il missaggio audio e la finalizzazione dell'immagine attraverso il color grading.
(exposure) Il parametro tecnico che definisce la quantità totale di luce che colpisce il sensore della macchina da presa. È determinata dal bilanciamento di tre fattori (il "triangolo dell'esposizione"): apertura del diaframma, tempo di posa (shutter speed) e sensibilità ISO. Un'esposizione corretta è tecnicamente impeccabile; una sotto-esposta è troppo scura, una sovra-esposta è troppo chiara.
La misura del livello di dettaglio di un'immagine digitale, espressa in pixel. È definita dal numero di pixel orizzontali e verticali (es. 3840x2160 per l'Ultra HD). Una risoluzione più alta (es. 4K, 6K, 8K) cattura più dettagli e offre maggiore flessibilità in post-produzione per ritagliare (re-frame) o stabilizzare l'immagine.





