Making Of Magazine

Le storie dietro le quinte

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FILMARE UN MOSTRICIATTOLO,
CERCANDO DI RENDERLO TENERO E ADORABILE

Mama, un cortometraggio fantasy muto, con un sacco di difficoltà, ma con un grande cuore
Intervista al regista Tancredi De Paola

di Redazione

“La sfida era raccontare in un mondo realistico, ma con elementi fantasy, un conflitto madre-figlia in cui abbiamo la madre single sempre fuori per lavoro e una figlia che, come ogni buon teenager, fa tutte le scelte sbagliate e decide di chiudersi in se stessa”. Così Tancredi Di Paola, regista esordiente di 28 anni, ha deciso di incentrare la propria opera su un ‘mostriciattolo’ durante i suoi studi alla Loyola Marymount University, la School of Film and Television a Los Angeles.

Tancredi Di Paola

Perché hai sviluppato la trama senza l’uso del dialogo?

“Se non dosati attentamente, i dialoghi possono far perdere la concentrazione del pubblico già nella prima parte del primo atto del film”.
Questo è il risultato di uno studio fatto all’interno della mia università, nonché uno degli errori principali che si fanno nei corti studenteschi o nei film quando si è alle prime armi.
Per questo motivo l’università richiedeva che i cortometraggi realizzati durante il corso di studi fossero senza dialoghi, per insegnarci a raccontare storie tramite immagini, suoni e musica, forzandoci a trovare elementi narrativi che ci aiutassero a parlare direttamente allo spettatore.
Per esempio nel mio cortometraggio ho avuto bisogno di un oggetto che rappresentasse la mamma, che doveva essere rubato dal mostriciattolo per condurre la ragazza nel bosco, aiutandolo così a salvare la “mamma mostro”.
Avremmo potuto scegliere fra tante possibilità, come un gioiello o una foto, ma quello che ho pensato è stato: “stiamo facendo un film strano quindi anche l’oggetto deve essere strano”. Così è nata l’idea della luce che la madre accende quando torna casa e spegne quando la lascia.
In questo modo, nel climax del racconto, potevamo avere una sola inquadratura con il mostriciattolo, l’oggetto che racconta la mamma, e un mostro più grande. Così che il pubblico, senza alcun dialogo, potesse pensare alla mamma del mostriciattolo.

una scena tratta dal cortometraggio

Perché il genere Fantasy?

Vorrei rispondere semplicemente che “mi è sempre piaciuto”, ma non è solo questo, il discorso è più complesso: in Italia il fantasy non è un genere molto trattato e, forse anche per questo motivo, semplicemente non avevo mai nemmeno considerato l’idea di poter realizzare un corto fantasy.
Poi un giorno in università è arrivato Shane Acker, regista di “9”, film di animazione prodotto da Tim Burton.
È come se avesse aperto una finestra di una stanza chiusa da tanto tempo e fosse finalmente entrata la luce: mi resi conto che era quello che volevo fare.
Da quel momento in poi è stato il mio mentore, e ancora oggi spesso gli scrivo per chiedergli consigli sui progetti che sto preparando.

Quali sono state le tue fonti di ispirazione nello sviluppo del film?

Sicuramente “Il labirinto del fauno”.
Il fauno è un essere spaventoso, ma grazie alla scelta di inquadrature e movimenti di macchina riesce ad essere raccontato con tenerezza.
Mi piaceva la sfida di riuscire a raccontare un personaggio brutto e spaventoso come un mostro, sviluppandolo però in modo tenero.
In quei mesi stavamo proprio studiando la dicotomia tra contenuto e forma: il contenuto è quello che stai riprendendo, e la forma è come lo stai riprendendo. Se riesci a creare un contrasto tra contenuto e forma, puoi avere delle reazioni molto più forti da parte del pubblico.

costruzione 3D del mostriciattolo protagonista di “Mama”, grafica 3D, di Mark Villalobos

Come hai scelto gli attori per il cortometraggio?

In questo cortometraggio ci sono quattro interpreti, due sono visibili e due sono nascosti dietro una pelliccia.
La ragazza e la madre sono state delle scelte complicate perché, non essendoci dialoghi, dovevo basare il casting sulla loro capacità espressiva, che doveva essere più esplicita e marcata rispetto alla classica recitazione cinematografica… ma non tanto marcata quanto la classica recitazione teatrale.
Per i “personaggi con la pelliccia” è stata tutta un’altra storia: il creatore del pupazzo del mostriciattolo mi aveva suggerito un burattinaio che lavorava spesso con lui, e che avrebbe potuto interpretare magistralmente il ruolo; io invece, per pura curiosità artistica, ho deciso di assegnare questo ruolo a un attore cinematografico con il quale avevo già collaborato in passato. Volevo vedere come un attore potesse dar vita a un pupazzo tramite performance recitativa.
Ora, non so se sia stata una scelta corretta, e non posso fare un paragone con un burattinaio vero, ma posso dire che è stato un bellissimo esperimento!
Per la mamma del mostro, invece, è stato tutto dettato dal caso: il giorno prima delle riprese, il creatore del mostriciattolo ci avrebbe dovuto consegnare la mamma mostro, ma per un problema tecnico non riuscì a fare in tempo.
Eravamo disperati.
La fortuna volle che un’assistente del team di produzione fosse andata poco tempo prima al negozio di vestiti per l’usato, e avesse comprato proprio una pelliccia marrone, a 10$, ma non solo, l’aveva anche dimenticata nel bagagliaio della macchina con cui era venuta sul set…! Poi ci girammo tutti verso Claudio Contento, un mio amico barese che era venuto proprio in quei giorni a trovarmi a Los Angeles, e che mi ero portato sul set per darci una mano.
Claudio ha potuto provare l’ebbrezza di diventare mamma, entrando nella pelliccia: all’azione lui doveva alzare e abbassare il braccio, simulando il respiro affannato di una creatura dolorante.

Come hai comunicato le tue intenzioni alla troupe?

Grazie allo storyboard* e agli appunti.
Il ruolo del regista è molto legato alla sequenza di immagini per raccontare la storia. Quindi mi sono fatto affiancare da una disegnatrice che mi ha aiutato a disegnare lo storyboard*, e per poter avere una traccia precisa di quello che sarebbe diventato il corto, lo abbiamo convertito in uno storyboard animato con effetti audio e narrazione…
Con lo storyboard animato pronto, abbiamo potuto discutere con tutti gli altri capi reparto, così che potessero aggiungere il loro tocco di creatività alla storia, per portarla ad essere migliore.
Il cinema è un lavoro di squadra.

una tavola dello storyboard animato di “Mama”, di Natalie Carmouche

Raccontaci un aneddoto simpatico della troupe sul set.

Abbiamo girato per sette giorni, in notturna, in montagna.
La nostra salute fisica e sanità mentale erano messe alla prova non solo dal buio ma anche dal freddo, quindi era una grande sfida mantenere il morale alto all’interno della troupe.
Ma c’era mia madre, che era venuta a trovarmi a Los Angeles esattamente in quella settimana e che ebbe la geniale idea di fare le polpette. Quindi anche se eravamo al freddo, ogni tanto passava lei con delle polpette calde, che ci scaldavano mani e pancia.

parte della troupe e la mamma di Tancredi

la troupe al completo

In che modo hai utilizzato le diverse angolazioni della telecamera per influenzare il punto di vista del pubblico e la percezione della scena?

Avevamo delle linee guida per raccontare, nella prima metà del film, la creatura con delle inquadrature dal basso e in avvicinamento che facessero più paura e, nella seconda parte, abbiamo usato delle inquadrature dall’alto e in allontanamento che ispirassero tenerezza.
Poi dovevamo stare sempre attenti a non scoprire completamente il mostriciattolo perché per mancanza di budget lo avevamo fatto realizzare incompleto e in due versioni: una aveva un volto simpatico con le orecchie abbassate, tutto il corpo e una zampina che si poteva muovere; l’altra versione aveva solo il volto, più spaventoso, ed era priva di zampe.
Quindi ogni volta che dovevamo fare dei movimenti più complessi e lunghi con il mostriciattolo, decidevamo di simulare il movimento in soggettiva con la macchina da presa*, per non rischiare che si vedesse il burattinaio nelle inquadrature più larghe.

una tavola dello storyboard animato di “Mama”, di Natalie Carmouche

Raccontaci un aneddoto sul come gestivi la routine del set.

Non so precisamente da quando, ma sul set mi chiamano “TheTaxman” perché ho sempre con me un raccoglitore che lego a una bretella e mi porto sempre in giro.
Sul raccoglitore c’è tutto il lavoro fatto in pre-produzione: lo storyboard, lo spoglio per ogni inquadratura, gli appunti per le necessità di fotografia, scenografia, eccetera eccetera… anche se poi quei documenti non li guardo nemmeno perché sul set spesso bisogna adattarsi alle circostanze. Fabio Fanelli, un autore, una volta mi ha detto saggiamente che “quando si è alle prime armi, si colma con la preparazione ciò che non si può colmare con l’esperienza”

Come hai lavorato sulla colonna sonora per enfatizzare l’atmosfera senza dialogo?

Mi sono divertito nel cercare il giusto compositore perché avevo fatto un annuncio su Facebook, e non mi aspettavo che più di 200 compositori rispondessero. Tra questi trovai Federico Coderoni, che è un bravissimo compositore italiano che lavora in tutto il mondo.
Aveva capito le mie necessità e aveva trovato un modo per raccontare la stranezza del personaggio del mostriciattolo utilizzando strumenti inconsueti o rendendoli strani, come far suonare i violini al contrario. In questo caso scriveva la melodia dopodiché la riscriveva al contrario e la suonava, e infine la piazzava nella timeline, così che le note si sentissero nel momento giusto rispetto alle scene del cortometraggio.

Quali sono le tue aspettative per l’impatto emotivo e visivo che il cortometraggio avrà sul pubblico?

La mia grande aspettativa è quella che una volta riaccese le luci in sala, il pubblico debba voler prendere il telefono per chiamare la mamma e dirgli che gli vuole bene.

una scena tratta dal cortometraggio

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